I conti correnti bancari sono identificati da una serie di codici e numeri che vengono complessivamente detti coordinate bancarie, di cui il numero di conto corrente è una delle più importanti. Il 77% degli italiani, secondo recenti stime, ha un conto corrente, per un totale di quasi cinquanta milioni di conti diversi; è quindi evidente che il numero identificativo debba avere diverse cifre, in modo da non dare adito a equivoci e fraintendimenti.
Il numero di conto corrente, però, non è l’unico codice che conta quando si vuole identificare un rapporto continuativo con la banca. È infatti piuttosto scomodo, per riferirsi a un conto, dover tutte le volte indicare sia il numero che la banca stessa, che spesso ha denominazioni molto lunghe o poco chiare (per non parlare dei casi, non rari, in cui in seguito a fusioni e altri cambiamenti societari questa denominazione cambia, aumentando la confusione). Per questo è stavo inventato l’IBAN, acronimo di International Bank Account Number: si tratta di una codifica internazionale che comprende gli altri codici (compresi ABI, CAB e numero di conto corrente) e identifica ogni conto bancario utilizzato per i pagamenti transfrontalieri, come i bonifici, e che dal 1° gennaio 2008 viene utilizzato anche per i pagamenti in Italia (prima si ricorreva invece ai codici ABI e CAB e al numero di conto corrente). Visto che ormai si usa quasi più solo l’IBAN, dunque, vediamo qui di seguito come fare per ricavare il numero del conto corrente dall’IBAN.
Il numero di conto corrente è un codice alfanumerico, possono essere quindi presenti sia lettere che numeri, per un totale di 12 caratteri. La sua funzione, come detto, è quella di identificare il conto corrente del cliente presso la filiale, quindi teoricamente ci possono essere due conti con numero identico in due filiali differenti. Se il conto corrente è più corto di 12 caratteri, può essere preceduto da una serie di zeri fino a raggiungere questa cifra.
Il codice ABI (Associazione Bancaria Italiana) è composto da cinque cifre e ha lo scopo di rappresentare la banca o l’istituto di credito in questione. I codici ABI sono assegnati dall’Associazione bancaria italiana (ad esempio quello di Fineco è 03015, quello di Intesa Sanpaolo 03069, quello di CheBanca! 03058 e così via).
Anche il codice CAB (acronimo di Codice di Avviamento Bancario) è composto da cinque cifre. A differenza però dell’ABI, che identifica genericamente la banca, il CAB serve per determinare l’agenzia o la specifica filiale dell’istituto di credito: ABI e CAB insieme, quindi, sono necessarie per identificare la sede locale dove si trova il conto corrente. È possibile che il codice CAB sia di sei cifre invece che di cinque: in questo caso è incluso anche un codice di controllo, detto anche codice di efficienza sportello.
Il codice IBAN è quindi formato dalle coordinate bancarie fin qui analizzate – numero di conto corrente, codice ABI e codice CAB – uniti in un solo codice insieme ad altri caratteri identificativi e di controllo.
Per la precisione, l’IBAN è formato da:
In altre parole, per ricavare il numero di conto corrente avendo un IBAN basterà prendere gli ultimi 12 caratteri dell’IBAN stesso. Per controllare che l’IBAN sia giusto, bisogna tenere a mente che in Italia è lungo 27 caratteri. Ovviamente anche ABI e CAB possono essere ricavati allo stesso modo dall’IBAN, tenendo conto delle posizioni in cui questi compaiono.
Per essere sicuri della correttezza del codice, oltre al numero di caratteri, è ben controllare che l’IBAN risponda all’algoritmo grazie ai suoi caratteri di controllo; oggi il web abbonda di strumenti pensati proprio per questo scopo, attraverso i quali, inserendo il codice, si può sapere immediatamente se ci si trova di fronte a un numero genuino oppure no.
Il codice IBAN, ancora più del numero di conto corrente in esso compreso, è il codice oggi indispensabile per effettuare qualsiasi operazione bancaria che preveda una transazione verso altri conti correnti, come i bonifici, compresi l’accredito dello stipendio e della pensione. Quando si firma un contratto di lavoro bisogna fornire, se si sceglie l’accredito della busta paga direttamente sul proprio conto corrente, il numero IBAN, per cui è necessario sapere dove trovarlo e segnarselo in modo da averlo sempre a portata di mano.
Il modo più sicuro per conoscere il proprio codice IBAN è ovviamente quello di chiederlo direttamente alla filiale della banca dove si è aperto il conto corrente, ma da quando c’è stata la proliferazione dei conti correnti online oggi la situazione si è “smaterializzata” e quasi sempre non si ha una filiale di riferimento a cui potersi rivolgere. Per fortuna l’IBAN si trova in molti altri posti: in primo luogo nell’estratto conto periodico che la banca invia al cliente, in formato cartaceo e/o digitale, nonché nella pagina dedicata alle coordinate bancarie che ogni area personale di conti correnti online mette a disposizione dei suoi utenti, di solito anche con gli altri codici (il numero di conto corrente, l’ABI e il CAB).
Fino a qualche anno fa, per effettuare un bonifico nell’area SEPA (ovvero l’area unica dei pagamenti in euro, Single Euro Payments Area) era necessario fornire o avere (a seconda dell’accredito o dell’addebito) non solo il codice IBAN del conto, ma anche il codice BIC/SWIFT, formato da 8 o 11 caratteri (4 caratteri che rappresentano la banca, 2 caratteri che rappresentano la nazione secondo lo standard ISO 3166, 2 caratteri che rappresentano la città dove si trova la banca e 3 caratteri opzionali che rappresentano la filiale; il codice a 8 cifre serve per indicare genericamente la banca, quello a 11 per far sì che un pagamento venga diretto a una filiale specifica). Oggi però non è più così, ed è sufficiente anche in questo caso avere soltanto il codice IBAN.
L’area SEPA comprende i 19 Stati UE che fanno parte dell’area dell’euro (Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna), più 8 Stati UE che pur non adottando l’Euro effettuano pagamenti in euro (Bulgaria, Croazia, Danimarca, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Svezia e Ungheria) e altri 9 Stati non membri dell’UE (Città del Vaticano, Andorra, Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Principato di Monaco, Regno Unito, Svizzera e San Marino).