Banda Ultralarga e fair share: ci sarà davvero una tassa UE?

Le telco europee vorrebbero tassare i colossi di Internet per finanziare l'espansione della banda Ultralarga, 5G e cloud. La proposta è sostenuta dal commissario al Mercato Interno ma le big tech non ci stanno

In 30 secondi

Cos'è il fair share e cosa cambierà per la banda Ultralarga
  1. Le telco europee chiedono di tassare le grandi aziende di Internet come Google, Facebook e Amazon per finanziare l'espansione della banda Ultralarga, 5G e cloud
  2. La proposta è sostenuta da alcuni stati come Francia e Spagna e dal commissario Ue al Mercato Interno, Thierry Breton
  3. A gennaio la Commissione Ue ha avviato una consultazione pubblica sul fair share
  4. Le big tech si difendono affermando che il fair share può mettere a rischio la neutralità della rete
Banda Ultralarga e fair share: ci sarà davvero una tassa UE?

Da anni gli operatori delle telecomunicazioni a partire da Deutsche Telekom, Orange, Telefonica e TIM chiedono ai creatori di contenuti come Google, Facebook, Netflix, Apple, Amazon e Microsoft di contribuire al sostentamento delle infrastrutture in quanto affermano che da sole le prime sei Big Tech rappresentano poco più della metà del traffico di dati su Internet sulle reti europee.

Da qui nasce la proposta del fair share o equo compenso, ma conosciuto anche come telco tax o pedaggio di rete, ovvero un contributo obbligatorio nei confronti delle industrie tecnologiche per finanziare l’espansione della banda Ultralarga, 5G e cloud nel vecchio continente.

Da un report di Analisys Mason del 2021 emerge infatti come per fruire un video in definizione standard sia sufficiente una connessione di pochi Mbps. Per guardare contenuti in 4K si passa 20-30 Mbps ma se si parla di tecnologie come la realtà aumentata (AR) o la realtà virtuale (VR) si può arrivare fino a 200 Mbps. Inoltre, più del 70% del traffico dati a livello globale è da imputare a contenuti come video, social e gaming.

Dal canto loro i colossi di Internet si difendono affermando che già investono ingenti risorse nelle infrastrutture e che il fair share potrebbe mettere a rischio la neutralità della rete, ovvero il concetto secondo cui tutti gli utenti devono avere la possibilità di accedere a Internet alle stesse condizioni.

Il progetto della tassa UE non coinvolge gli utenti che non dovranno pagare costi aggiuntivi per l’accesso ad Internet. In questo momento, inoltre, accedere alla banda ultra-larga diventa sempre più vantaggioso con la possibilità di attivare offerte Internet casa da 16 euro al mese per una connessione senza limiti. Per saperne di più è possibile consultare il comparatore di SOStariffe.it:

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Banda Ultralarga e fair share: la consultazione Ue

Nonostante tutti i dubbi anche all’interno dell’Ue, la Commissione a metà gennaio ha avviato una consultazione pubblica che durerà circa 12 settimane. Alle big tech e telco è stato chiesto in cosa stanno investendo, come si evolveranno i finanziamenti e se c’è un divario tra le risorse messe a disposizione per la banda Ultralarga.

Inoltre, la Commissione vuole sapere il rapporto tra gli operatori di telecomunicazioni e i creatori di contenuti e il loro punto di vista sul passaggio verso l’infrastruttura cloud e sugli investimenti necessari per completarla. I regolatori, infatti, non vogliono limitare la consultazione solo alle infrastrutture tradizionali come cavi sottomarini e terresti o torri.

Ai partecipanti alla consultazione è stato anche chiesto come vengono regolate le tariffe di rete dal punto di vista normativo in altre parti del mondo come Australia e Corea del Sud e come le aziende tecnologiche si sono adeguate a queste regole. Nel Paese asiatico, ad esempio, Facebook aveva temporaneamente sospeso il suo servizio. Dalle risposte ottenute dal questionario verrà elaborata una proposta di legge che gli Stati membri e i parlamentari Ue dovranno poi elaborare prima che venga convertita in una legge comunitaria.

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Banda Ultralarga e faire share: non c’è ancora un fronte comune per il sì

Tutte le domande su banda Ultralarga e fair share Risposte
Cos’è il fair share? Una tassa nei confronti delle big tech (Amazon, Google, Netflix, Facebook e altre) per finanziare la banda Ultralarga, 5G e cloud in Europa
Chi sostiene il fair share? telco (in particolare Deutsche Telekom, Orange, Telefonica e TIM), il commissario Ue al Mercato Interno, Thierry Breton, e alcuni stati come Francia e Spagna
Chi è contrario al fair share? tutte le big tech ma anche Germania, Austria e Olanda
L’Italia da che parte sta? la posizione italiana prima favorevole ora si è ammorbidita e spinge per accordi commerciali ad hoc con i creatori di contenuti

Sebbene sia stata avviata la consultazione sul fair share da parte dell’Unione Europea, non c’è un fronte unanime a favore dell’equo contributo. Spagna e Francia ad esempio sono favorevoli ma uno dei maggiori fautori di un cambio di paradigma nel mercato delle telecomunicazione è proprio il commissario al Mercato Interno Ue, Thierry Breton, che nel suo intervento al Mobile World Congress di Barcellona a febbraio sottolineava come l’avvento del web 4.0 e del supercomputing, oltre a un rapporto sempre più stretto e quasi simbiotico tra gli esseri umani e gli oggetti, richieda una banda Ultralarga con performance in grado di sostenere questo enorme balzo tecnologico.

In poche parole, stiamo assistendo a operatori di telecomunicazioni che trasformano la loro attività da semplici fornitori di connettività a fornitori di network-as-a-service o addirittura fornitori di software innovativi. – ha detto Breton – La consultazione è ovviamente solo una parte del puzzle che abbiamo messo insieme negli ultimi anni. Il mio messaggio per voi è: potete contare sulla mia determinazione per raggiungere insieme i nostri obiettivi per il 2030“.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’intervento al MWC 2023 anche di Pietro Labriola, AD di TIM, che ha sottolineato come serva “un cambio del contesto regolatorio“. “È necessario consentire il consolidamento del settore, incentivare il salto verso le nuove tecnologie e introdurre meccanismi per una redistribuzione più equa dei costi legati alla crescita del traffico, attraverso il cosiddetto ‘fair share– ha aggiunto – Il rinnovo della cornice politica e regolatoria per le tlc è un pezzo fondamentale del puzzle da comporre per arrivare a un ecosistema digitale più bilanciato“.

L’obiettivo del fair share, afferma TIM in un paper disponibile su suo sito dal titolo ‘Si scrive Fair Share, si legge Fair Play‘ è “ottenere un più efficiente impiego della capacità trasmissiva e, al tempo stesso, rafforzare gli investimenti in reti di telecomunicazioni, necessari per far fronte ai crescenti volumi di traffico. Ciò senza che questo comporti un aumento dei prezzi a discapito dei consumatori“.

Banda Ultralarga e fair share, Meta si difende: “Il metaverso non metterà in crisi le reti”

Come prevedibile le Big Tech a partire da Google e Netflix non hanno alcun’intenzione di finanziare il miglioramento della banda Ultralarga europea. La posizione dei colossi della tecnologia è ben spiegata in un post di Meta, che raccoglie tra le altre Facebook, WhatsApp e Instagram, a firma del vicepresidente per la rete, Kevin Salvadori, e il direttore dei laboratori di realtà wireless, Bruno Cendon Martin.

“Riconosciamo le sfide finanziarie che gli operatori di telecomunicazioni europei devono ora affrontare dopo decenni di ottime prestazioni – si legge nel post – Tuttavia, le proposte di alcuni operatori di telecomunicazioni europei di imporre tariffe di rete ai fornitori di applicazioni di contenuto (CAP) come Meta non sono la soluzione”. “Le proposte sulle commissioni di rete sono costruite su una falsa premessa – continuano Salvadori e Cendon Martin – perché non riconoscono il valore che i CAP creano per l’ecosistema digitale, né gli investimenti che facciamo nell’infrastruttura che lo sostiene”.

I due funzionari di Meta poi citano le decine di miliardi di euro che l’azienda investe nelle sue app e piattaforme, che a loro volta generano una domanda che permette alle telco di far pagare l’accesso a Internet agli utenti. Meta dispone di oltre 880 miliardi di dollari in infrastrutture digitali in tutto il mondo. Nel computo sono inclusi anche i 120 miliardi di dollari sono stati spesi tra il 2018 e il 2021 da tutte le aziende tecnologiche nel loro insieme che avrebbero fatto risparmiare agli operatori di telecomunicazioni circa 6 miliardi di dollari all’anno.

Meta poi respinge la tesi secondo cui l’espansione del metaverso, ovvero il mondo virtuale condiviso e accessibile tramite Internet, potrebbe creare un sovraccarico delle infrastrutture del web: “Ma questa è una sciocchezza. Lo sviluppo del metaverso non richiederà agli operatori di telecomunicazioni di aumentare le spese in conto capitale per maggiori investimenti di rete”, concludono Salvadori e Cendon Martin.

Banda Ultralarga e fair share: il fronte del no

Non tutti i Paesi Ue sono comunque favorevoli al fair share. In Germania la Bundesnetzagentur, ovvero l’autorità che regola le telecomunicazioni (il corrispettivo del nostro AGCOM), avrebbe espresso dubbi sull’utilità di tassare i fornitori di contenuti. Questa è la posizione che emerge dalle registrazioni di una riunione a porte chiuse ottenute dal Politico.eu tenutasi venerdì scorso a cui hanno partecipato i rappresentanti del regolatore, telco, content provider e società civile su invito del Ministro tedesco del Digitale e dei Trasporti.

In un certo senso, sarebbe come mettere il bastone fra le ruote dell’ingranaggio centrale che sostiene il sistema Internet“, ha dichiarato il funzionario della Bundesnetzagentur  – Esiste una relazione reciproca tra fornitori di contenuti e fornitori di accesso. Uno è interessato ad avere buone reti; l’altro è interessato ad avere buoni contenuti”. L’AGCOM tedesco prevede poi un rialzo dei prezzi per i consumatori e la possibilità di una “violazione della neutralità della rete“.

La posizione tedesca sembrava comunque chiara fin dall’inizio di marzo quando il segretario di stato del Ministero del Digitale, Stefan Schnorr, aveva descritto il fair share durante un’udienza al Bundestag come un “prelievo obbligatorio” ingiustificato. Anche Olanda e Austria appartengono al fronte del no al fair share mentre l’Italia avrebbe fatto un passo indietro rispetto alla telco tax proponendo come alternativa la firma di accordi commerciali con i fornitori di contenuti.