I sistemi di accumulo tramite batterie sono di gran lunga i dispositivi più innovativi quando si tratta di sfruttamento dell’energia solare e rappresentano a tutti gli effetti la “seconda era” dei pannelli fotovoltaici.
Rispetto agli impianti classici, infatti, consentono di non sprecare l’energia ricavata dai raggi del sole e non immediatamente utilizzata, per arrivare in questo modo a percentuali di autoconsumo molto alte, anche intorno al 90% in una situazione ottimale, con corretta inclinazione dei pannelli, una manutenzione periodica eseguita da specialisti e un buon soleggiamento.
Per capire come funzionano i nuovi sistemi a energia solare è necessario però fare un passo indietro e illustrare le caratteristiche del solare
Gli impianti fotovoltaici producono elettricità grazie al lavoro combinato dei pannelli solari – che possono essere di vario tipo, ad esempio, monocristallini, policristallini o in film sottile – e dell’inverter, il cui scopo è trasformare la corrente continua generata dalle celle fotovoltaiche in corrente alternata, quella utilizzabile per i nostri elettrodomestici.
Negli impianti classici, quello che viene prodotto viene immediatamente consumato, secondo il modello dell’autoconsumo diretto.
Questo significa che se in quello specifico momento la richiesta di elettricità è bassa, l’energia generata in surplus non viene utilizzata; in passato andava a tutti gli effetti perduta, oggi può essere venduta al Gestore della rete elettrica con il meccanismo dello Scambio sul Posto, a un prezzo comunque molto inferiore rispetto a quello con cui l’elettricità viene acquistata quando serve (circa il 50%). In altre parole, si tratta di una “pezza”, ma non di un sistema realmente efficiente: si produce molto, si vende a poco e si acquista a tanto.
Bisogna infatti tenere presente che, a parte i casi di telelavoro, le famiglie hanno almeno una o due persone fuori per lavoro durante la giornata, con una domanda di energia piuttosto bassa nelle ore di sole; viceversa, quando il sole è tramontato, soprattutto d’inverno – e quindi i pannelli solari non ricevono più i raggi – di solito la richiesta di energia è più alta, sia per alimentare l’illuminazione di casa che per diversi elettrodomestici, come la televisione.
Idem al mattino, quando ci si prepara per recarsi in ufficio e magari il sole non è ancora sorto.
Ecco quindi che in un sistema fotovoltaico classico si è costretti ad acquistare l’energia necessaria, raggiungendo così percentuali di autoconsumo non certo esaltanti.
Per ovviare a questa disparità, ci sono gli accumulatori per fotovoltaico, ovvero speciali batterie il cui compito è proprio quello di immagazzinare l’energia in eccesso per poterla utilizzare quando serve. Non appena le esigenze domestiche superano la produzione, infatti, gli accumulatori vengono chiamati in causa: è il meccanismo dell’autoconsumo differito.
Lo Scambio sul Posto viene comunque utilizzato quando l’energia generata è tale da superare anche la carica completa delle batterie.
Naturalmente, lo scopo è sempre quello di utilizzare in modo ottimale l’energia degli accumulatori, quindi se le batterie sono sempre cariche oppure non arrivano mai a essere piene qualcosa non è stato calcolato nel modo giusto per quanto riguarda il dimensionamento dell’impianto.
Gli accumulatori sono quindi, come detto, speciali batterie che possono essere realizzate in diversi materiali: piombo-acido (simili a quelle usate per le auto), ioni di litio, nichel-cadmio, nichel.
Le batterie al litio, rispetto a quelle al piombo, sono sì più costose (in genere il 50-60% in più) ma allo stesso tempo sono molto più longeve, fino a quattro o cinque volte tanto.
La garanzia dei cicli di ricarica infatti è di 800-1500 cicli per le batterie al piombo, e tra i 4.000 e i 5.000 cicli di scarica e carica per quelle al litio. Tradotto in anni, una batteria al litio può durare circa 20-25 anni, ipotizzando un ciclo di carica e scarica giornaliero, sostanzialmente simile a quello dello stesso impianto.
Attenzione perché la garanzia dei cicli di ricarica non corrisponde per forza al numero di cicli massimo che un sistema ad accumulo è in grado di sopportare.
In altre parole, in alcune situazioni, quando la manutenzione è eseguita con la massima cura, è possibile arrivare anche a 10.000 cicli di carica, senza che le batterie mostrino segni significativi di invecchiamento.
Di norma, una batteria è considerata “alla fine” quando la sua capacità è degradata in maniera cospicua, nel caso di quelle al litio al 70% rispetto a quella originale.
Rispetto alle ormai superate batterie al piombo, l’accumulo reale con gli accumulatori al litio è molto più vicino all’accumulo installato, ovvero la prestazione che si ottiene è molto simile a quelle che si acquista sulla carta: le migliori batterie possono infatti essere utilizzate per circa il 90% della loro capacità, contro il 50% o poco più del piombo.
Non solo: le batterie al litio sono molto meno inquinanti rispetto al piombo, che rilascia invece sostanze dannose nell’atmosfera, e sono indispensabili per chi vuole un sistema assolutamente “green” a tutti gli effetti.
Uno degli esempi più noti di batterie al litio è il modello Powerwall di Tesla, sviluppato dall’omonima azienda di proprietà di Elon Musk, il multimiliardario americano che ha cambiato il mondo dell’auto elettrica e da sempre dedica grande attenzione anche ai sistemi di accumulo casalinghi.
Più nel dettaglio, oggi le batterie agli ioni di litio – per un impianto da 3 kW, sufficiente per una famiglia di 3 persone – hanno un costo che si aggira intorno ai 4.000-6.000 euro, laddove quelle al piombo costano circa 2.500-4.000 euro.
Le batterie sono assolutamente sicure, ma è sempre meglio rivolgersi a professionisti specializzati nell’installazione dei sistemi di accumulo per garantire un corretto funzionamento. Per le batterie non serve comunque molto spazio a disposizione, e alcuni modelli come appunto le Powerwall possono essere installate direttamente a muro.
Fino a pochi anni fa, l’extra-spesa per potersi dotare di una batteria di accumulo in un impianto di piccole dimensioni poteva essere ammortizzata in un lasso di tempo superiore alla vita media della batteria stessa; in altre parole i sistemi fotovoltaici con accumulo erano convenienti soltanto per i grossi impianti.
Oggi, grazie alla maggior durata delle batterie e alla rapida discesa dei prezzi, la situazione è molto più conveniente, e anche chi non dispone di un’ampia superficie può scegliere questa strada.
L’importante, come sempre, è arrivare a un corretto dimensionamento di tutto il sistema, per far sì che si possa effettivamente recuperare quanto investito.
Gli esperti del fotovoltaico sono professionisti indispensabili per analizzare e valutare le caratteristiche dell’edificio dove si vuole installare un impianto, sia in termini di spazio a disposizione che di inclinazione e orientamento del tetto; solo in questo modo è possibile arrivare a una scelta informata sull’opportunità di acquistare o meno anche le batterie.
Non per tutti, infatti, l’impianto fotovoltaico con accumulo è conveniente: le abitudini familiari e la tipologia di consumo influenzano da vicino la fattibilità.
Naturalmente non è sufficiente avere i pannelli solari, l’inverter e i sistemi di accumulo per poter dire di avere un impianto fotovoltaico efficiente.
Gli impianti grid-connected, infatti – quelli collegati alla rete – devono essere gestiti da una centralina “intelligente” per il controllo elettronico; è a questo dispositivo che è delegata la gestione dell’energia sviluppata dall’impianto, da immagazzinare nelle batterie di accumulo oppure da incanalare per l’autoconsumo, o ancora da reimmettere perché in surplus nella rete.
I sistemi di monitoraggio, inoltre, sono indispensabili per controllare il corretto funzionamento delle batterie anche da remoto (ad esempio tramite lo smartphone o un tablet) e sono in grado di ricevere notifiche e alert qualora nel tempo le prestazioni delle batterie andassero deteriorandosi troppo, al di là di quanto previsto con le garanzie.
Essendo i sistemi di accumulo dei sistemi chiusi, non c’è bisogno di alcun tipo di manutenzione meccanica a parte la sostituzione quando viene segnalata dall’impianto stesso.
Da ricordare anche che non tutti i sistemi di accumulo possono essere installati ovunque, perché alcune batterie sono particolarmente sensibili al freddo e devono essere collocati soltanto all’interno; prima di scegliere il tipo di batteria, quindi, vanno controllate con attenzione le sue temperature operative e confrontate con quelle dell’ambiente dove verranno collocate.
L’efficienza di un impianto fotovoltaico aumenta notevolmente con l’installazione di un sistema di accumulo, ma visto che la spesa è superiore (come detto, il conto totale per un piccolo impianto ammonta a circa il doppio di quanto richiesto per un impianto tradizionale) è necessario fare ancora più attenzione che tutto funzioni per il verso giusto.
Infatti, malgrado non sia necessaria ulteriore manutenzione per le batterie al litio o al piombo, lo stesso non vale per i pannelli solari, di cui va assicurato il perfetto funzionamento in qualsiasi situazione.
Sono infatti diversi gli elementi che possono portare a un decremento dell’efficienza, a partire dalla temperatura (se è troppo alta, il sistema si surriscalda e funziona peggio) fino alla sporcizia, gli ombreggiamenti, il funzionamento non ottimale di cablaggi e connettori vari, l’efficienza dell’inverter, l’anzianità delle celle fotovoltaiche e così via.
Per quanto l’acquisto di un impianto fotovoltaico possa essere piuttosto oneroso, e non ci siano più i cospicui incentivi statali di qualche anno fa, ugualmente le detrazioni fiscali per chi sceglie l’installazione di simili dispositivi sono un importante aiuto per chi sceglie la via del solare.
Detta detrazione, infatti, è del 50%, e consente pertanto a chi installa un impianto fotovoltaico di pagarlo la metà; va però ricordato che la detrazione viene “spalmata” su 10 rate in altrettanti anni.
Anche le batterie sono certificate per ottenere lo stesso sgravio fiscale, quindi gli impianti fotovoltaici con accumulo beneficiano del supporto statale.
Le tempistiche relative a un impianto con accumulo variano, nel senso che è possibile sia realizzare prima l’impianto e poi, a data da destinarsi, il sistema di accumulo oppure fare tutto in un unico intervento.
Allo stesso modo, se si è sottodimensionato l’impianto rispetto a quelle che si rivelano poi essere le nostre effettive esigenze, è sempre possibile aggiungere ulteriori batterie: per questo è meglio essere “conservativi”, visto che dismettere accumulatori che non servono è sempre più complicato che acquistarne di nuovi.
Se si vuole aggiungere un sistema di storage a un impianto fotovoltaico già esistente e incentivato con il vecchio conto energia, è necessario che il proprietario presenti una richiesta di adeguamento della connessione con la documentazione tecnica richiesta; in particolare è necessario dimostrare che la modifica dell’impianto rispetti le norme di connessione CEI 0-21 e CEI 0-16, rispettivamente per la bassa e media tensione (tali norme riguardano le modalità di collegamento del sistema di accumulo attraverso diversi schemi possibili che comprendono batteria, misuratori, inverter e più in genere tutti i dispositivi interessati).
A questo punto l’accumulo installato non fa perdere l’incentivo erogato dal GSE, con l’eccezione degli impianti fotovoltaici fino a 20 kWp del primo conto energia: in questo caso, l’aggiunta di un sistema di accumulo farebbe decadere la tariffa incentivante.
Per le situazioni più complesse e miste è richiesta la valutazione preventiva degli interventi.
Il sistema di accumulo può essere collegato in corrente continua (condividendo così lo stesso inverter usato dai pannelli solari) oppure inserito sul lato della corrente alternata, tra l’impianto fotovoltaico e il contatore M2, grazie a un inverter specifico per l’accumulatore, o ancora in corrente alternata con inverter dedicato ma tra il contatore M1 di scambio con la rete e il contatore M2.
In questo caso, qualora il fotovoltaico sia incentivato con la tariffa omnicomprensiva del VI e V conto energia, è necessario anche aggiungere un apparecchio M3 per misurare l’energia scambiata dalla batteria.
Dopo aver inviato i documenti richiesti, il gestore li esaminerà e invierà un tecnico per le verifiche, rilasciando infine un nuovo regolamento di esercizio. A questo punto basta che il titolare dell’impianto comunichi sul portale del GSE l’aggiunta del nuovo sistema di stoccaggio.
Se invece l’impianto fotovoltaico al quale si decide di aggiungere il sistema di accumulo e più recente e non gode degli incentivi, non sono necessari né il contatore M2 né i dispositivi per la misurazione dell’energia elettrica scambiata dalla batteria con la rete.
Rimane invece l’obbligo di rispettare le norme tecniche CEI. Infine, per un sistema di accumulo off-grid (non connesso, cioè, alle linee di distribuzione), si è al di fuori delle norme CEI e tutto viene invece affidato al tecnico-progettista.