Impianto fotovoltaico con accumulo: quanto costa e come funziona

Gli impianti fotovoltaici con accumulo permettono di utilizzare l’energia prodotta in eccesso durante il giorno in appositi sistemi di stoccaggio, in prevalenza batterie al litio (come quelle prodotte da Tesla) attraverso le quali la percentuale di autoconsumo può arrivare anche fino al 90%: ecco tutto quello che c’è da sapere su questa tipologia di impianti a energia solare.

Impianto fotovoltaico con accumulo: quanto costa e come funziona

Come funziona il fotovoltaico con accumulo

L’impianto fotovoltaico con accumulo è il tipo di impianto a energia solare più costoso oggi presente sul mercato, ma anche il più efficace. Il maggior investimento richiesto deriva dal fatto che, oltre al normale costo per i pannelli solari, l’inverter, il pannello di controllo e il resto dei dispositivi che si trovano anche in un sistema classico, il fotovoltaico con accumulo prevede anche le batterie, in quantità variabile a seconda della potenza richiesta.

Lo stoccaggio dell’energia elettrica è infatti essenziale se si vuole raggiungere un’alta percentuale di autoconsumo, ovvero di energia elettrica consumata e autoprodotta senza che venga sprecata o rivenduta. 

In un sistema classico, infatti, il meccanismo dello Scambio sul posto fa sì che i raggi del sole, grazie all’inverter, generino corrente alternata da utilizzare subito, e se c’è un eccesso di produzione tale avanzo possa essere reimmesso nel sistema per venderlo, di fatto, al gestore unico (in genere a tariffe molto più basse rispetto a quelle d’acquisto). 

Al contrario, con le batterie per lo stoccaggio è possibile immagazzinare l’energia prodotta in eccesso e utilizzarla quando serve di più, ad esempio durante la sera, quando il sole è ormai tramontato ed è maggiore la richiesta di elettricità, a causa delle lampadine e degli elettrodomestici. 

I tipi di batteria per gli impianti solari

Per poter accumulare l’energia in eccesso, quindi, ci vuole un certo numero di batterie, e fondamentalmente oggi è possibile scegliere tra due tipi: le sempre meno diffuse batterie al piombo gel, simili a quelle delle automobili, che hanno un costo inferiore ma anche una durata molto breve, di circa 5 anni ciascuna, oltre a essere ingombranti e poco efficienti (tanto che solo la metà viene di fatto utilizzata per la produzione di energia); e le batterie al litio, assai più leggere e più compatte, con una durata doppia rispetto al piombo e ben l’80% dedicato a immagazzinare energia. Forse l’esempio più noto di batteria al litio per uso casalingo è la Tesla Powerwall, dalle dimensioni ridotte (115 x 75 x 15 cm) ma con una capacità notevole, fino a 13,2 kWh di energia elettrica.
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Nel fotovoltaico con accumulo i pannelli solari catturano l’energia che arriva a una centralina di controllo, dove viene smistata e, se necessario, stoccata. Le batterie più moderne possono essere gestite da app per smartphone e per tablet, e i sistemi di monitoraggio permettono di vedere subito se qualcosa non sta funzionando per il verso giusto. Da notare che le soluzioni come la Tesla Powerwall possono essere collegate in parallelo (fino a 10 dispositivi) per una potenza continua di ben 50 kW, a sufficienza per alimentare le piccole industrie.

Quanto costano oggi le batterie

Quello delle batterie è stato un punto dolente per molti anni, visto che per lungo tempo i prezzi delle soluzioni di stoccaggio sono stati proibitivi. Oggi, grazie al progresso tecnologico le batterie più moderne e performanti – come detto, quelle al litio – hanno un costo decisamente minore rispetto a qualche anno fa, intorno ai 1.200-1.500 euro a kWh, senza tenere conto della detrazione fiscale Irpef al 50% che, appunto, non riguarda soltanto l’impianto fotovoltaico ma anche i sistemi di stoccaggio. In altre parole, un impianto fotovoltaico con accumulo per una famiglia standard, da 4 kWh, costa, rispetto a un impianto fotovoltaico, circa 6.000 euro di più, per un totale di circa 10.000-12.000 euro.

Di questa cifra grazie alle detrazioni al 50% si paga circa la metà; quanto pagato in più viene restituito sotto forma di detrazione in 10 rate annue. Non bisogna dimenticare che anche se la maggior parte degli incentivi statali aggiuntivi oggi non è più valida, non mancano le zone d’Italia dove si trovano bandi regionali appositi dedicati agli accumuli con incentivi anche a fondo perduto.

Quanto ci vuole per rientrare dall’investimento

Per ammortizzare un impianto di questo tipo ci vuole un periodo di tempo che va dai 12 ai 15 anni: molto dipende, infatti, dall’irraggiamento solare nella zona dove sono installati i pannelli, dall’inclinazione del tetto e da altre variabili di questo genere. Insomma, rispetto a un impianto classico, che ormai si ammortizza in circa 4-5 anni, l’impegno finanziario richiesto è certamente più alto; il vantaggio è che una volta che si è ripagato l’investimento il risparmio grazie all’elevato autoconsumo può arrivare a sfiorare il 90%, e in pratica non si spende quasi più per l’energia elettrica (tranne che per sostituire le batterie, i pannelli solari e altre parti del sistema che possono danneggiarsi). Al contrario, con un impianto classico anche dopo aver ammortizzato la spesa iniziale il risparmio sarà sempre intorno al 40-60%.

Da ricordare che oltre all’accumulo elettrico – ovvero il fotovoltaico con accumulo propriamente detto – un’altra soluzione ormai piuttosto popolare è l’accumulo termico, che serve per produrre acqua calda sanitaria e per il riscaldamento, con conseguente diminuzione della bolletta del gas.