L’idea della Francia: l’etichetta contro l’obsolescenza programmata
Un po’ effettiva strategia delle imprese un po’ spauracchio complottista, l’obsolescenza programmata ha come scopo quello di non far durare oltre una certa data un elettrodomestico o un dispositivo elettronico. In questo modo, il consumatore è spinto ad acquistare un nuovo modello per continuare a contare sulle funzionalità precedenti, ma le implicazioni non certo positive dal punto di vista economico (con le famiglie costrette a mettere a budget cifre ingenti per le continue sostituzioni) ed ecologico (con il rischio di abbandono nell’ambiente di rottami provenienti da oggetti ancora funzionanti) sono evidenti.
Per questo la Francia ha manifestato, per bocca di Brune Poirson, segretaria di Stato presso il ministero dell’Ambiente, l’intenzione di adottare un’etichetta che – con un punteggio da 1 a 10 – attesti la durata, la riparabilità e la robustezza dei dispositivi elettronici ed elettrici. Insomma, una sorta di data di scadenza per smartphone e per PC, volontario fino al 2020 e poi obbligatorio, per combattere la produzione di articoli nati già con una vita troppo breve. Un fenomeno che riguarda ad esempio la telefonia mobile, visto che secondo l’Ademe l’88% dei francesi cambia lo smartphone quando è ancora funzionante.
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Guerra alle sostituzioni inutili
Per favorire chi invece punta sul riciclo e sulla possibilità di riparare, invece che sostituire, i prodotti che non funzionano più perfettamente, la Francia ha ipotizzato diverse soluzioni, con leve fiscali locali, quali la riduzione dell’IVA. Da marzo, si dovrebbe cominciare a parlare seriamente di economia circolare, cioè rigenerabile, con un progetto di legge ad hoc. Per alcuni si tratta di una misura troppo blanda, come l’associazione francese Hop, Halta à l’obsolescence programmée, che contesta il periodo di volontarietà.
La Francia è stata tra l’altro il primo Paese in Europa a vietare l’obsolescenza programmata, un reato punito con un’ammenda da 300.000 euro e – soprattutto – una contravvenzione pari al 5% del fatturato dell’azienda, con possibilità di arrivare anche fino a 2 anni di reclusione nei casi più gravi.
Secondo la legge Hamon, infatti, la garanzia obbligatoria dei prodotti deve essere di due anni, ed è necessario che venga indicato il periodo durante il quale sono disponibili i pezzi di ricambio da utilizzare in caso di guasto: quante volte, infatti, il danno sarebbe riparabile ma sono proprio i componenti, magari relativi a un modello un po’ vecchio, a essere introvabili?