App per spendere, app per guadagnare
Quando parliamo di app nel mondo della telefonia mobile, difficilmente – anzi: mai, siamo sinceri – pensiamo che possano essere un modo per fare soldi. Piuttosto per perderli: trascinati da una partita di Clash of Kings con i suoi acquisti in-app, è facile trovarsi un conto assai salato (senza contare la frustrazione perché, malgrado i nostri sforzi, abbiamo perso lo stesso). Ci sono però dei programmi che permettono di accumulare compensi magari non considerevoli, ma sempre graditi, semplicemente utilizzandole: che si tratti di microlavori conto terzi o di bizzarre forme di gamification, queste trovate stanno prendendo sempre più piede all’interno dell’App Store iOS e del Play Store Android.
Sweatcoin, soldi per camminare
Quante volte vi è capitato di vedere un runner all’alba – freddo, nebbia densa, umidità che arriva fino alle ossa – e pensare “nemmeno pagato”? Forse è arrivato il momento di mettere alla prova le vostre granitiche convinzioni. Perché Sweatcoin (nome forse un po’ impavido, visto il crollo delle criptovalute) proprio questo si ripromette di fare. A chi si stacca dal monitor del computer e decide di fare una bella camminata, l’app regala una moneta, detta SWC, ogni circa 1.000 passi (per la precisione, ogni 1.052).
Non è possibile convertirla in denaro corrente, a meno che non la si destini a una donazione di beneficenza, ma può essere utilizzata per acquisti sullo store dell’applicazione: 15 SWC, ad esempio, permettono di acquistare un rasoio del valore di 25 euro, ma si può scegliere anche tra libri (zeppi di ricette dietetiche, tanto per non smentirsi), prodotti per il fitness e la salute, miglia aeree, carte regalo. Alcuni premi, è bene dirlo subito, costano così tanto da essere destinati ad autentici marciatori disposti a investire mesi, se non anni, di passeggiate salutari; ma è anche vero che attivare l’applicazione non costa assolutamente nulla, è l’idea è piaciuta talmente tanto che per il suo finanziamento ha raccolto circa 6 milioni di dollari, mentre l’app è volata in cima alle classifiche degli store americani e inglesi.
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GymPact: chi salta la palestra paga
Anche GymPact rientra nel novero delle applicazioni che utilizzano il miraggio della ricompensa economica per stimolare a smaltire un po’ di pancia. Qui però non si guadagna soltanto, ma si rischia anche di pagare. Si comunicano all’app, come si farebbe con un personal trainer particolarmente impietoso, i propri obiettivi da raggiungere, come fare ginnastica un certo numero di volte alla settimana o consumare un determinato quantitativo di calorie; se si rispettano i patti (appunto) ci sarà un piccolo premio in denaro (poche decine di centesimi), al contrario chi fallisce l’obiettivo sarà obbligato a pagare qualche euro (che finirà a rimpinguare il montepremi destinato agli sportivi affidabili). Più che la prospettiva di guadagnare, insomma, a stimolare la volontà c’è la paura di dover spendere qualcosa di tasca propria: la versione più sadica e automortificante degli acquisti in-app, dove in pratica si compra il diritto alla pigrizia.
BeMyEye e AppJobber, le ricerche di mercato con il crowdworking
L’italianissima BeMyEye è presente ormai da qualche anno negli store e si basa, in effetti, su un concetto ingegnoso e su una certa abilità nel riconoscere le nostre manie: nello specifico, la convinzione che con uno smartphone in mano siamo disposti a fare più o meno di tutto, anche qualche lavoretto un po’ noioso. L’app offre crediti convertibili in euro a chi esegue determinati job legati al marketing o alle ricerche di mercato, ad esempio fotografando uno scaffale al supermercato per vedere se e come è stato esposto un prodotto, controllando il prezzo e così via.
Un po’ di gamification (diversi livelli a cui si accede via via che si portano a termine queste piccole missioni) rende ancora più sfiziosa la partecipazione: non si diventa ricchi – e sarebbe piuttosto ingenuo aspettarselo – ma se non altro si riesce a farsi pagare l’aperitivo cercando un paio di prodotti e fotografandoli mentre si fa la spesa.
Anche AppJobber ha come modello microtransazioni e lavoretti conto terzi. E come BeMyEye, si rivolge soprattutto a chi vuole arrotondare un po’. Come la direbbero gli esperti di marketing, si tratta cioè di cimentarsi nel crowdworking per valutare la retail execution di un punto vendita: in parole povere, queste app permettono di non assumere a tempo pieno forza lavoro esterna per controllare che i propri prodotti siano esposti nel modo giusto, al momento giusto e con il miglior prezzo. E per i crowdworker il guadagno è netto, visto che si tratta di prestazioni occasionali – a meno che non si superi una certa soglia, in verità molto difficile da raggiungere con i microlavori.
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Ti Frutta, risparmiare facendo la spesa
Ti Frutta è di fatto una sorta di fornitore di buoni sconto 2.0: si fa la spesa, si comprano i prodotti di certe marche in promozione (con brand come Barilla, Ferrero, Heinekein, Findus, Lavazza, San Pellegrino, Unilever, Monini, Ponti, Nivea, Cirio, Rio Mare e così via), si fa la foto allo scontrino (che deve essere “parlante”, e cioè mostrare i nomi dei prodotti acquistati) e la si invia tramite app, ricevendo in cambio un corrispettivo in denaro, nell’ordine di qualche decina di centesimi, fino a qualche euro per gli acquisti più cospicui. Il denaro viene poi trasferito tramite PayPal sul proprio conto corrente; attenzione però: non sempre i prodotti in offerta sono compatibili con le promozioni. Tra le ultima novità, un rimborso che farà felice qualcuno: i sacchetti biodegradabili del supermercato, oggetto dell’ira funesta dei consumatori da quando, qualche settimana fa, sono diventati a pagamento.